La famiglia Amati è documenta già nel 1300 quando raggiunge a Pistoia un grado elevato nella società. Nel 1700 le notevoli disponibilità finanziarie permettono a Giovanni Tommaso Amati di costruire una dimora degna della famiglia. Il palazzo nasce intorno al 1720 nell'area in cui nel XII nascevano le mura urbane del secondo cerchio, successivamente abbattute. Gli Amati, utilizzando una certa influenza presso le pubbliche magistrature, ottengono il permesso di utilizzare lo spazio dell'antica via delle Cerchie con l'impegno di lasciare attraverso una volta il pubblico transito. Il progetto, affidato a Giovan Battista Baldi, viene elaborato affinché il portale di accesso pubblico non sia un alterazione della facciata, ma un maestoso finto portale coronato da un fastigio al centro del quale si trova il grande stemma marmoreo degli Amati e tra le due finestre del primo piano viene posto il busto di un personaggio della famiglia. La fase originale del palazzo è a tre piani, la soprelevazione del terzo piano al di sopra del ricco cornicione sarà costruita nel XIX secolo, nello stesso periodo in cui viene chiuso l'antico passaggio pubblico. Di notevole ricchezza è l'interno del palazzo, forse sproporzionato all'effettivo ruolo economico della famiglia. L'edificio si apre al piano terra con un grandioso atrio dove si innalza il monumentale scalone a due rampe parallele. Altrettanto fastosi si presentano gli altri vani del palazzo, arricchiti dagli affreschi di Giandomenico Ferretti e da decorazioni a stucco eseguite da artisti fiorentini. Nel 1727 il pittore tedesco Georg Christoph Martini visita il palazzo del quale rimane favorevolmente impressionato. Alla fine del XVIII secolo il palazzo è di proprietà del Cavalier Giulio Amati, sposo di Tommasa Panciatichi l'ultima discendente della famiglia e di conseguenza erede di un cospicuo patrimonio, del quale tenta di impossessarsi il marito. Tommasa Panciatichi chiede il divorzio e nel 1811 vince la causa e si trasferisce nella villa di Montebono. Il contrasto tra i coniugi Amati influisce negativamente sull'educazione dei figli, specialmente su Laura detta Selvaggia, la quale nel 1799 è protagonista di un episodio che suscita scandalo in tutta Pistoia. Tra il 1838 ed il 1835 durante i lavori di ampliamento del palazzo pretorio il pianto terreno del palazzo amati viene utilizzato come sede provvisoria del Tribunale di prima istanza la famiglia di Tommaso Amati si trasferisce al secondo piano e nel 1853 non avendo eredi viene nominato erede del palazzo Giulio Cellesi con l'obbligo di assumere il doppio cognome. Dal 1° luglio del 1905 ad oggi il palazzo diventa filiale della Banca Toscana, la quale nel 1910 acquista l'intero edificio.
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